La Parigi di Montaigne
Dove l’otium diventa un modo di vivere, con Parigi come sfondo.
«Siamo grandi sciocchi: “Ha passato la vita nell’ozio”, diciamo; oppure: “Non ho fatto nulla oggi”. — Come? Non avete forse vissuto? Non è soltanto la più fondamentale, ma la più illustre delle vostre occupazioni.» (Montaigne, III, 13, 1108)
« Nous sommes de grands fols : il a passé sa vie en oisiveté, disons nous : je n'ay rien faict d'aujourd'huy. --Quoy, avez vous pas vescu? C'est non seulement la fondamentale mais la plus illustre de vos occupations. » (Montaigne, III, 13, 1108)
Il filosofo francese Montaigne ebbe un approccio insolitamente mite all’ozio. Mentre i filosofi romani del Rinascimento associavano l’ozio (o otium) all’assenza di scopo e lo giudicavano pigrizia o persino radice di ogni male, Montaigne ne parlò con benevolenza (Krause 1). In un’epoca in cui la produttività e il dovere civico erano valori supremi e chi praticava il negotium – l’essere attivi e compiere buone opere – veniva lodato, Montaigne osò considerare l’ozio in termini positivi. (Bondanella 15)
Nel suo breve saggio sull’ozio, De l’oisiveté, Montaigne spiega che l’ozio ha dato origine alle sue rêveries (Krause 10). All’inizio paragona le menti oziose ai campi incolti e ai cavalli senza briglie; ma nella seconda parte capovolge l’immagine e mostra come il suo stesso ozio gli abbia permesso di ritirarsi dal mondo, di scrivere e di vivere in pace (passer en repos) (Montaigne I, 8, 80). Secondo la tradizione classica dell’otium, che risale ad Aristotele ed Epicuro, esso conduce alla coltivazione della saggezza e al pieno fiorire della vita (Krause 205). È una soglia verso la libertà, il luogo in cui i valori autenticamente umani vengono custoditi e preservati (Bondanella 26).
Per Montaigne, il negotium, gli obblighi della vita pubblica, era un tiranno che tentava di ridurre ogni azione – persino lo scrivere – a un mezzo per un fine. Per lui, invece, l’ozio era un fine in sé (Krause 204). “Il pittore dipinge per plaisir e libéralité; non è un mercenaire” (Krause 221). In questo senso, l’ozio e il tempo dedicato al riposo garantivano che ogni impresa umana non si riducesse a una semplice transazione.
Se gli si fosse chiesto: “Qual è lo scopo della scrittura?” o “Qual è lo scopo della vita?”, Montaigne avrebbe probabilmente risposto con semplicità: “scrivere” e “vivere” (Krause 205).
Queste fotografie di mia madre, Irene, scattate nel 1967 da mio padre, Egidio Marchese – a Parigi, dove Montaigne visse e scrisse – illustrano l’otium nel senso più autentico: il vagare per il puro piacere di vagare, libero dalla tirannia del negotium – della vie active.
(Scorrete in basso per vedere le fotografie. Per uno sguardo più ravvicinato, cliccate su ciascuna immagine.)
Opere citate
Bondanella, Julia Conaway. “Petrarch’s Rereading of Otium in De vita solitaria.” Comparative Literature, vol. 60, no. 1, Winter 2008, pp. 14–28. Duke University Press on behalf of the University of Oregon.
Krause, Virginia A. Studies in Idleness in the French Renaissance: From Romance to the Essais. PhD dissertation, University of Wisconsin–Madison, 1996.
Montaigne, Michel de. The Complete Essays. Tradotto e curato da M. A. Screech, Penguin Books, 1991. Ristampa con correzioni e una nuova cronologia, 2003.