Dante e la ferita dell’autorità sacra

30 nov 2025

Nel 1301, Firenze era una città lacerata da fazioni contrapposte. I Guelfi Bianchi, contrari all’ingerenza papale, erano in conflitto con i Guelfi Neri, sostenitori del controllo del papato. Sotto il pretesto della pacificazione, Papa Bonifacio VIII convocò Dante, che allora ricopriva la carica di Priore tra i Guelfi Bianchi, a Roma. Durante la sua assenza, i suoi avversari politici, insieme al principe francese Carlo di Valois, occuparono Firenze, condannarono Dante e lo sentenziarono alla morte in caso di ritorno.

L’esilio demolì la vita di Dante. Non solo fu umiliato e rovinato economicamente, ma venne anche strappato alla sua città. Ciò significava non solo separazione da familiari e amici, ma uno scossone profondo alle fondamenta della sua identità.

Che ferita psicologica avrebbe potuto subire Dante nell’essere condannato da coloro che parlavano con autorità ecclesiale, ma agivano per tornaconto politico?

Quando chi è investito di una responsabilità sacra non incarna i valori che predica, il danno che infligge non è soltanto psicologico: è anche spirituale. È una ferita che sembra inflitta con la forza del divino – seppur in modo distorto – e può minacciare l’intero sistema di senso di una persona.

Durante i miei studi di teologia, il mio professore di omiletica, il reverendo Paul Scott Wilson, mi insegnava che chi predica detiene un mandato sacro. E con questo mandato viene la responsabilità.Per questo – diceva – il predicatore deve rivolgersi anche a quella persona seduta in fondo alla chiesa che è venuta alla messa con la sua ultima scintilla di speranza. Deve fare tutto il possibile, con cura e onestà, per raggiungere i fedeli, per annunciare il Vangelo con responsabilità e incarnare ciò che predica.

Come sopravvive Dante al tradimento di coloro che parlano con l’autorità della Chiesa?

Dante non si sottomette e non crolla sotto il peso di quella ferita. Trascende il clero corrotto e trova la verità dentro di sé. E lo fa in modo storicamente straordinario: si affida a Virgilio, poeta pagano, come guida morale; a Beatrice, donna e laica, per la visione teologica. Con la coscienza morale e l’immaginazione, Dante trova salvezza attraverso la bellezza, l’intelletto e l’amore.

La Divina Commedia mostra il suo cammino interiore: la rabbia dell’Inferno, la chiarezza morale e la speranza del Purgatorio, fino all’amore e alla pace del Paradiso.

Chi possiederebbe la sua forza, quando è proprio l’autorità sacra a ferire?

Forse pochi. Dante fu resiliente perché non delegò mai la propria etica ad altri e possedeva una coscienza morale inflessibile. Rifiutò ogni forma di perdono che implicasse il riconoscimento di colpe mai commesse. Alla fine, superò il dolore attraverso l’immaginazione, costruendo con la poesia una cattedrale in cui regna l’amore.

 

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